IndyCar | Herta vince a Nashville, Palou è Campione 2024

La NTT IndyCar Series conclude la sua stagione sull'ovale di Nashville. Dopo una splendida gara vinta da Colton Herta, è Alex Palou a laurearsi nuovamente campione di categoria coronando un'altra stagione straordinaria. Lo spagnolo del team di Chip Ganassi, dopo tre titoli in cinque stagioni, è veramente il pilota più competitivo al di fuori del mondo della Formula 1 ?

NTT IndyCar Series - Alex Palout (Chip Ganassi Racing) festeggia la vittoria del campionato dopo la gara di Nashville - #MusicCityGP (2024) Photo credits: NTT IndyCar Series via X Graphics: F1Sport / Pit Talk

La stagione della IndyCar 2024 è giunta al suo epilogo. I 206 giri sull’ovale della “città della musica” hanno decretato finalmente il vincitore. La gara andata in scena al Nashville Superspeedway si è conclusa con la vittoria di Colton Herta (Andretti Global), davanti a Pato O’Ward (Arrow McLaren) e Josef Newgarden (Team Penske). Kyle Kirkwood (Andretti Global) partito dalla pole position è giunto quarto. Grazie all’undicesimo posto, Alex Palou (Chip Ganassi Racing) ha vinto il suo terzo titolo di categoria, mentre Will Power (Team Penske) ha concluso la gara al ventiquattresimo posto, doppiato di diversi giri a causa di un problema alle cinture. Solo tre le caution, a testimonianza di una gara svoltasi senza grossi intoppi.

Raggiunto dai giornalisti dopo la gara, Herta ha dichiarato:

“Sono davvero felice, sapevamo di poter fare una bella gara qui, è stata una bellissima stagione. Sono arrivato secondo in campionato ed è fantastico, ma ovviamente spero di fare meglio l’anno prossimo”

Sembrava fatta per Pato O’Ward, e invece Colton Herta ha deciso di alzare ulteriormente il livello, piazzando un sorpasso da antologia a cinque giri dalla fine. I tre piloti che hanno monopolizzato il podio sono arrivati tutti molto vicini. La discriminante che ha consentito a Herta di bissare il successo di Toronto è stata, senza alcun dubbio, la gestione del carburante durante la gara. Prova solida di Pato O’Ward e del team Arrow McLaren, che ha pagato l’eccessiva discontinuità di risultati durante tutta la stagione.

Il primo approfondimento va, di diritto, ad Alex Palou. Campione per la terza volta, è riuscito a mantenere altissimo il livello della performance lungo tutto l’arco della stagione, caratteristica determinante per portare a casa il risultato grosso. Inevitabile focalizzare la criticità sugli ovali, elemento sul quale il team Ganassi dovrà necessariamente lavorare. La sensazione è che se i rivali non avessero fatto il possibile per perdere punti, lo scarso rendimento dello spagnolo sui circuiti ovali avrebbe inciso molto di più. Detto questo, al nativo di Sant Antoni de Vilamajor si può dire veramente poco: tre titoli vinti in cinque anni di gare nella IndyCar. Ruolino di marcia impressionante, che lo mette di diritto tra i grandi della categoria. È, infatti, il secondo pilota più giovane a vincere il titolo per tre volte, secondo solo a Sam Hornish Jr.

Dopo la fine della corsa, lo spagnolo si è lasciato andare davanti ai microfoni:

“Mi hanno avvisato dei problemi sulla macchina di Power, ma dovevo rimanere concentrato e portare la monoposto al traguardo. Voglio ringraziare tutti, sono fiero di ognuno dei miei meccanici, è stata una stagione fantastica”

Le considerazioni sulla stagione 2024 dopo l’ultima gara appena andata in scena sono le medesime che ho fatto dopo gli ultimi appuntamenti. Lo avevo preannunciato: molto probabilmente, dopo l’ultima gara della stagione, Colton Herta e il Team Andretti avrebbero avuto di che mangiarsi le mani. Detto, fatto: secondo in campionaato, stesso numero di pole position e di vittorie del Campione Alex Palou e un passivo di appena 31 punti. Un niente, se consideriamo il sistema di punteggio della IndyCar. Parlando e confrontandomi con alcuni appassionati americani, ho trovato più volte conferma ai miei pensieri. Uno di loro, una volta, mi ha detto: “Herta non deve fare niente di particolare per essere un vincente. Deve semplicemente smetterla di trovare modi per sprecare il suo talento”. È il pensiero che meglio sintetizza la stagione del pilota californiano. Una prima parte semplicemente orribile, che lo vedeva a metà classifica. Una seconda parte da grandissimo, culminata con il sorpasso di ieri che gli ha dato la vittoria. Un consiglio: riguardatelo, più volte possibile. Solo i manici assoluti possono permettersi una manovra del genere. In quel sorpasso c’è l’essenza del motorsport: talento, rischio, velocità e intuizione. Per molti la presenza di Sting Ray Robb avrebbe rappresentato una facilitazione, ma si tratta di attimi. Una scelta sbagliata in quei momenti può farti perdere la gara. Se Colton dovesse trovare nella stagione 2025 la continuità espressa nelle ultime corse, sarà un pessimo cliente per chiunque.

Agli altri piloti in lizza per il titolo, è semplicemente mancato qualcosa. Will Power, tra errori e sfortune non ha mai saputo capitalizzare le situazioni favorevoli. La gara scorsa, con il ritiro di Palou, avrebbe potuto tranquillamente ridurre il gap in campionato o, addirittura, sopravanzare lo spagnolo in vista dell’ultimo appuntamento, ma ha commesso un errore che ha fondamentalmente consentito al pilota di Ganassi di arrivare al round conclusivo con relativa tranquillità. Le cose si erano messe ulteriormente bene con la penalità di nove posizioni in griglia causa sostituzione non autorizzata del motore sulla #10, ma il problema alle cinture del pilota australiano ha, di fatto, concluso i giochi al tredicesimo giro. Discorso del tutto analogo per Scott McLaughlin e Josef Newgarden: i piloti Penske sono andati fortissimo sugli ovali, ma altrove hanno raccolto poco a causa di errori e strategie di gara sbagliate. Come detto, senza la costanza, non si vince.

Dando uno sguardo ai rookie 2024, non possiamo far altro che menzionare per primo Linus Lundqvist, vincitore del “Rookie of the Year Award”, ovvero del miglior debuttante dell’anno. Benché il rendimento non sia stato particolarmente buono, a parte la Pole Position a Road America e un terzo posto come miglior risultato, ha partecipato a 12 gare (come Kyffin Simpson e Tom Blomqvist – NDR) totalizzando 173 punti. La nota dolente è che, pur avendo vinto il torneo dei debuttanti, al momento è senza sedile per l’anno prossimo. Quello con più prospettiva, a mio avviso, è Theo Pourchaire: il pilota di riserva di Arrow McLaren ha fatto vedere cose interessantissime, con sole sei partenze all’attivo e l’undicesimo posto di Long Beach senza aver mai provato la macchina e il quattordicesimo a Toronto, dove è stato chiamato all’ultimo per l’infortunio di Alexander Rossi. Da valutare Christian Rasmussen: non giriamoci intorno, il Team di Ed Carpenter fa acqua da tutte le parti, di certo non è la “culla” ideale per far crescere un debuttante. Qualcuno adesso dirà “Eh ma è il campione uscente della Indy NXT, non è uno qualsiasi”. La risposta è: “sì, ma in questa IndyCar non si improvvisa niente”. Devi avere il tempo di imparare, tempo che purtroppo si tende a dare sempre meno a causa del sempre più elevato numero di piloti paganti che bussano alla porta. Per Nolan Siegel, Kyffin Simpson e Tom Blomqvist vale lo stesso discorso: hanno bisogno di tempo, ma il rischio è che le squadre non siano disposte a concederglielo. Per quello che riguarda le wild card viste durante la stagione, ovvero Luca Ghiotto e Tob Sowery, parliamo di vere e proprie meteore che si sono viste per pochissime gare. Anche qui, serve budget. Senza soldi che coprano le spese, le squadre non ti fanno fare abbastanza test e un numero sufficiente di gare per poter avere dati attendibili da analizzare.

Personalmente, mi sono approcciato alla IndyCar in maniera classica, cercando di informarmi il più possibile e cercando di essere sempre obiettivo. Quando si viene dal motorsport europeo se ne sentono di tutti i colori e, chiaramente, devi sforzarti di mantenerti equi-distante da tutto per evitare di esserne inevitabilmente condizionato. Si sa, in Europa le gare americane sono viste come un baraccone fin troppo semplice, buone sì e no per “ex piloti” o per coloro che si apprestano a vivere gli ultimi anni da quasi pensionato, dopo molte stagioni di militanza in Formula 1. Beh, dopo aver vissuto un intero campionato, posso dirlo: niente di tutto questo. La IndyCar è un campionato particolare, difficile e assolutamente non banale. Le monoposto, per via dei regolamenti, si somigliano tutte. A fare la differenza sono, ovviamente, i tecnici con le messe a punto e i piloti che le portano in pista. Non esiste la problematica di quanto flettono le ali, di quanto “motorano i motori”, di quanto “le frizioni friziano” o i “freni frenano”. Bisogna calarsi nell’abitacolo, abbassare la visiera del casco e darci gas. Non ci sono discorsi, parla solo la pista. E meno male, oserei dire.

Di fronte a noi ci aspetta una lunga pausa, che terminerà il 2 marzo con la gara inaugurale sul cittadino di St. Petersburg. Durante quesi mesi farò il possibile per tenervi compagnia e rendere questo prolungato intermezzo il meno spiacevole possibile. Spero di avervi fatto divertire almeno la metà di quanto mi sia divertito io a raccontarvi queste 18 gare. A presto!